Lo strano suicidio di Denis tra calcio, droga e scommesse Denis Bergamini è stato centrocampista nel Cosenza 1987/88
Un corteo per riaprire l'inchiesta sulla morte dell'ex giocatore del Cosenza
FRANCO GIUBILEI
COSENZA
Denis Bergamini giocava da centrocampista nel Cosenza neopromosso in serie B, e i tifosi lo adoravano. Vent’anni dopo la sua morte misteriosa, la famiglia e quasi 3.900 persone su Facebook chiedono la verità. Il 27 dicembre a Cosenza, dal tribunale un corteo raggiungerà lo stadio.
Era sempre di buon umore Denis, ed era anche un gran burlone: la sorella Donata ricorda che il suo ultimo giorno di vita, dopo l’allenamento tagliò la punta dei calzini al capitano della squadra. Risate nello spogliatoio e un saluto a tutti i compagni, poi Denis se ne andò: nessuno immaginava che i quotidiani del giorno dopo sarebbero usciti con la notizia del suo suicidio. Era il 18 novembre del 1989 quando il cadavere del giovane – aveva compiuto 27 anni due mesi prima – fu ritrovato su una strada litoranea di Roseto Capo Spulico, a un centinaio di chilometri da Cosenza. Secondo i rilievi dei carabinieri era stato investito da un mezzo pesante.
Furono seguite due piste: il suicidio, avvalorato dalla testimonianza dell’ex fidanzata che diceva «si è gettato sotto il camion», e quella dell’omicidio colposo. Nel 1992 la corte d’appello di Catanzaro ha fatto sua la tesi del suicidio. Fine della storia? No: come molte vicende oscure, anche questa torna a galla con tutte le sue incongruenze e oggi un legale di Ferrara sta raccogliendo gli elementi per far riaprire il caso: «E’ stupefacente che nessuno abbia ipotizzato l’omicidio volontario – spiega l’avvocato ferrarese Eugenio Gallerani – Già nel rapporto delle 22 di quella sera i carabinieri parlano di suicidio, ma la perizia medico legale, fatta ben un mese dopo, dimostra il contrario: la ragazza aveva detto che Denis si era buttato sotto il camion ed era stato trascinato per 60 metri, ma sul corpo non si sono segni di trascinamento. Quanto ai motivi, si sono rincorse ipotesi di totonero, calcio-scommesse, droga, ma nessuno ha verificato che nella dinamica di quella morte non c’è niente che corrisponda».
La sorella di Denis e i suoi figli non si sono mai dati per vinti e chiedono che l’inchiesta riparta, sostenuti anche dalla campagna nata spontaneamente su Facebook, oltre che dall’interesse sollevato dal programma tv «Chi l’ha visto», dagli interventi del giornalista Oliviero Beha e dalla recente interrogazione parlamentare del deputato ferrarese Alessandro Bratti.
«Siamo cresciuti insieme in un paesino, Boccaleone di Argenta – ricorda la sorella, che ha chiamato Denis uno dei suoi figli – Quando andammo a Cosenza dopo la sua morte, trovammo omertà: capimmo che non ci avrebbero aiutati a trovare la verità». Ma ora l’aria sembra cambiata, e Donata Bergamini ha ritrovato la fiducia: «Mio figlio su Facebook si è imbattuto nel gruppo “Verità per Donato Bergamini” (Donato è il vero nome di Denis, ndr), fondato da una persona di Terni che aveva letto il libro di Carlo Petrini “Il giocatore suicidato”. Ora ci sono quasi 3.900 iscritti».
Poi a un gruppo di Cosenza è venuta l’idea della manifestazione, il «Bergamini Day» del 27 dicembre, un’iniziativa che on line ha raccolto 600 adesioni e che ha avuto anche l’effetto di riconciliare il padre di Denis con la città calabrese: «Mio padre fino a poco tempo fa ce l’aveva con tutta Cosenza per le circostanze in cui è morto mio fratello, ma soprattutto per l’omertà – aggiunge Donata – Il consenso e l’appoggio che stiamo incontrando lo hanno convinto a partecipare: il 27 ci sarà anche lui». L’ultima tappa della manifestazione prevede, dopo il corteo, una puntata sulla strada dove fu trovato il corpo di Denis.
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